Evan De Vilde (Napoli 1973)

L'operazione di Evan De Vilde contrasta con l'assunto di una società consumistica incapace di riflettere, giacché presuppone un esercizio di rielaborazione e sintesi di canoni artistici universali, in una dimensione spazio-tempo senza confini. L'artista infatti coniuga l'antico con l'attualità, andando a scovare ogni volta reperti di un passato archeologico per inserirli in una temperie contemporanea attraverso l'abbinamento di oggetti del suo e nostro tempo. De Vilde in questo è un operatore insolito ed originale nel panorama artistico. Potremmo infatti definirlo un ostinato archeologo (o forse perfino speleologo) che va a scovare nei relitti dell'antichità i resti di una esperienza dimenticata e li riaccende con una sensibilità tutta presente e soprattutto in grado di definire un tempo "contraddicendolo".
Qui si ricostruisce il senso della scrittura, del logos appunto riscoperto ma più ancora "ritrovato" nel suo valore essenziale, nel suo significato più vasto, tenendo presente appunto che il termine si ricollega al verbo leghein che significa conservare, raccogliere.
A questo punto l'intento di De Vilde è quello di riappropriarsi della memoria passata per continuare a costruire un'ipotesi di futuro, nella consapevolezza "vichiana" che senza memoria non ci potrà mai essere alcuna premessa di rinascita per i tempi a venire.

OPERE