La grafologia dell’arte

Spesso
capita, nell’ambito
dell’attività di perizia
grafologica, di imbattersi in
casi di attribuzione di firme
d’arte, vergate su tele antiche
o di arte contemporanea o su
disegni o addirittura su stampe
e multipli d’arte. Il grafologo,
in tal caso, dovrà conoscere che
esiste una disciplina specifica
nell’ambito della grafologia e
nell’ambito dell’attribuzioni
d’arte che è l’incontro
armonioso tra critica e storia
d’arte e perizie scientifiche
grafologiche. La sua esistenza,
quella della grafologia d’arte,
è un mondo a sé che utilizza
metodologie, tecniche
strumentali e modelli teorici
completamente diversi dalla
classica grafologia per la
determinazione di falsi
documentali o grafologici di
assegni e testamenti. La
grafologia d’arte parte dal
presupposto che la firma o il
monogramma artistico deve essere
parte integrante del quadro.
Definendo così un intreccio tra
testo e contesto non
dimenticando di tracciare il
tutto nel suo sfondo
storico-sociale del tempo. La
Grafologia d’arte non permette
di staccare la grafia come segno
a sé stante dall’opera e dal suo
contesto socio-culturale,
integrando in un unico corpus:
grafia, pittura e spirito del
tempo (in senso junghiano), in
una amalgama coerente.
Ci
troveremo pertanto a
confrontarci con il fenomeno
della sovrascrizione, già
utilizzato in moltissime
botteghe d’arte fiorentine e
romane nei secoli decimoquarto
in poi, ma ancor prima in
architettura e in tutte quelle
opere che necessitano
l’intervento di più attori e in
più riprese. Penso al caso
dell’edificazione dei templi
romani per cui molti artigiani
intervennero nella costruzione
del Portico di Ottavia (48 a.C
circa) ma solo due architetti
firmarono l’opera, Batraco e
Sauro. Penso alla grande
cappella Sistina o molte opere
anche più modeste, come gli
affreschi di Giulio Romano nel
palazzo della sala del tè a
Mantova, dove sappiamo che il
solo disegno preparatorio fu
eseguito dal Romano ma fu
Rinaldo Mantovano ad eseguire i
lavori d’affresco che poi firmò
giulio Romano. Questo fenomeno
era assai diffuso, per cui vi
erano artigiani o garzoni
addetti solo alla tinteggiatura
del cielo, altri per la
definizione dei volumi delle
nuvole, altri ancora per
definire i segni, volti, le
vegetazioni o i costoni dei
monti. In tal caso anche per
piccoli e solitari quadri spesso
capita questo costume, ed è un
fenomeno anche recente di arte
contemporanea, dove molti autori
insegnano all’aiutante di
bottega come spatolare il mare,
come ottenere certi effetti e
come tinteggiare i cieli, poi
altri particolari li finisce il
maestro che sarà l’unico a
mettere la firma. Fino a qui
tutto nella norma, ma il caso ad
esempio di alcuni quadri di
Carignani che metteva la firma
spesso in quadri dipinti
interamente da mano di altri o
di Schifano che era aiutato o
imitato dalla Marieni e che
inevitabilmente non sappiamo più
riconoscere il confine tra la
sua mano e la mano estranea,
come il caso di moltissimi
pittori moderni che hanno una
ricca produzione commerciale che
sarebbe impossibile fisicamente
da colmare da soli e ricorrono
ad una bottega di “imitatori”
del segno pittorico mentre loro
appongono solo le firme. In tali
casi di sovrascrizione, chi è
l’autore? Chi firma, chi ne ha
avuto l’idea, chi ha dipinto
fisicamente il quadro o si
tratta piuttosto di un
collettivo di autori che fa capo
ad un solo maestro artista? La
questione non mi interessa sul
piano giuridico perché le Leggi
cambiano con i tempi e i gusti
dei momenti, ma sul piano della
metodologia di attribuzione
della grafia d’arte è necessario
comprendere se quella firma si
integra bene nel quadro perché è
opera autentica, naturale e
spontanea dell’autore che ha
anche realizzato il quadro nella
sua interezza, oppure se il
maestro ha solo vergato una
firma su un disegno o su una
stampa realizzata da altra mano.
Spesso non è neanche il Giudice
a voler sapere un tale
particolare ma sicuramente lo
richiederebbe il committente
privato, un collezionista o un
Museo che vuole accertarsi del
valore pieno dell’opera che è
diverso se firmato da autore che
è anche autore della pittura o
se è solo il firmatario di un
quadro realizzato su commissione
o su idea di altro maestro. Vi è
il caso Perilli, ad esempio, che
fa molto discutere. Per cui se
vediamo le firme dei primi anni
il filo grafico è sicuramente
fluido, ha una buona tensione,
una sicurezza e velocità che
assolutamente non ritroviamo
nelle ultime opere con un tratto
vistosamente tremolante e
senile, eppure le linee dei suoi
poligoni e le pennellate delle
aree delle sue figure
geometriche sono stranamente
regolari, precise e perfette. Si
nota immediatamente una
incoerenza tra firma e quadro,
una dissonanza esecutiva, che
farebbe pensare a due mani
diverse. La grafologia d’arte ci
aiuta ad entrare in questi e
molti altri fenomeni di
attribuzione, di studiarne le
evoluzioni segniche del tratto
grafico nel tempo, delle
variabilità di stile di firme
artistiche e molti altri
fenomeni ed usanze che si sono
sviluppate nell’ambito dell’arte
che normalmente un grafologo
specializzato in firme
documentali non affronta nel suo
percorso formativo e non è
preparato ad analizzare in modo
olistico nel contesto di una
firma d’arte.
Dr.
Luigi Di Vaia
perito grafologo d’arte
presso il dipartimento di
perizie
della casa delle aste Novisburgh
Auction di Londra